Domenica 12 maggio, lo Stadio Olimpico, oltre a essere teatro della gara di Serie A tra Lazio ed Empoli, ha celebrato i campioni d’Italia del 1973/74: la banda Maestrelli che cinquant’anni fa alzò per la prima volta al cielo lo scudetto. Franco Nanni, uno dei titolari di quella Lazio, è intervenuto ai microfoni di Radio Roma Sound nella trasmissione Oradei Laziali, rilasciando le seguenti dichiarazioni:
Cinquant’anni dopo il primo scudetto
“Domenica è stata un’emozione indescrivibile: ha superato quella dello scudetto, perché lì eravamo giovani, preparati. Ma invece l’altro giorno, dopo 50 anni… vedere lo stadio pieno e specialmente la curva piena di passione, di amore per noi… dico la verità, ho pianto. Volevo fare il duro, non mi vergogno di dirlo, ma ho pianto. È stato eccezionale. Ricevere tutto questo calore a distanza di 50 anni è stato bellissimo, magari dovrebbe capirlo anche qualche altra persona, perché nel tempo non siamo stati considerati ma invece potevamo essere utili al pianeta Lazio.
12 maggio 1974? Intanto non ce lo aspettavamo. Per una settimana non ho dormito. Quando ci si avvicina così tanto al traguardo hai paura dell’imprevisto. Abbiamo giocato con il freno a mano tirato perché non eravamo sereni come al solito. Perché pensavamo che bastasse allungare una mano per prendere una cosa impossibile da pensare tempo prima. Quell’emozione la dovresti provare sulla tua pelle. Dentro di me ho avuto una grande soddisfazione personale, ma anche verso la gente che per tutti i due anni ci ha seguito anche in capo al mondo.
Il titolo sfiorato all’ultima giornata nel 1973
L’anno prima, come ha detto qualcuno alla carlona, non avevamo l’intento di arrivare fino in fondo per vincere lo scudetto, e quello magari è anche vero, perché dalla Serie B fare quel tragitto e lottare per vincere fino all’ultima giornata era forse casuale. Ma l’anno dopo no: ai nastri di partenza abbiamo pensato: ‘Ci siamo anche noi’, come poi è stato. L’anno prima, detto tra noi, abbiamo giocato anche meglio. L’anno dopo abbiamo anche avuto un pizzico di fortuna in più, e soprattutto un giocatore immenso che si chiama Vincenzo D’Amico, che in certe partite ha mandato a gambe all’aria le difese avversarie. L’anno prima eravamo più equilibrati. Io ero un falso trequartista con Manservisi bravo nella tattica che chiudeva gli spazi quando andavo. E invece con D’Amico c’eravamo messi d’accordo: due lui e uno io. Ma aveva più estro di me.
Napoli-Lazio del 1973? All’andata abbiamo vinto 3-0. Qualcuno dei nostri aveva fatto qualche battutina fuori luogo. E nel calcio, si sa, c’è una ruota che gira. Al ritorno ce l’hanno fatta di tutti i colori. Siamo arrivati allo stadio un’ora e mezzo prima come di solito. Il pullman doveva entrare sotto lo stadio nella galleria: arriviamo e troviamo il cancello chiuso, con una balaustra sopra piena di tifosi napoletani che inveivano. Il dirigente allora scende e chiede informazioni. Rispondono: ‘non riusciamo a trovare la chiave’. Siamo rimasti più di mezz’ora nel pullman. A un certo punto, miracolo, trovano la chiave, ma della porticina laterale in cui si entrava uno alla volta. Poi siamo scesi negli spogliatoi e mentre prendevamo le borse da sopra ci hanno sputato, ci hanno lanciato di tutto… la tensione quindi era già alle stelle. Maestrelli poi ci ha dato le solite raccomandazioni per entrare in campo. Io sono stato uno dei primi per uscire a riscaldarsi in uno spazio in terra battuta adiacente al corridoio. Prima di arrivare lì c’era un altro corridoio, e un omone con le braccia incrociate mi dice: ‘Oggi non ci si scalda. Non si può‘. Allora ci è toccato scaldarci in uno spazio di 3 metri per 7.
20 maggio 1973: la Lazio cade a Napoli e la Juventus vince il campionato
Arriva quindi il momento della partita, saliamo in campo tra mille fischi. Poi cominciano a inveire contro Giorgio (Chinaglia). L’ennesima volta che arriva la palla a lui e lo fischiano lui prende e tira in una porta. Un boato incredibile. Lui si mette a fare le corna a tutto lo stadio. Sembrava che venisse giù tutto. Finalmente iniziamo a giocare, Giorgio dà la palla a Re Cecconi e un giocatore del Napoli gli mette una gamba sul petto sgarrandogli la maglia come fosse un graffio di una tigre. ‘E questo è niente’, disse. Ecco come ci hanno accolto. Poi metti la tensione, l’imprevisto, e quando ci hanno fatto il gol a pochi minuti dalla fine abbiamo dovuto accettare il risultato.
Non eravamo donzellette ma nemmeno delinquenti. Cercavamo di contraccambiare il benvenuto che ci davano. Era un altro calcio, ma la cosa che mi ricordo con maggiore piacere erano gli stadi sempre pieni. Vorrà dire che qualcosa trasmettevamo. Eravamo una squadra anomala, che praticava un calcio quasi totale. Perché Wilson e Oddi facevano i difensori, ma tutti gli altri attaccavano, specialmente il primo quarto d’ora. Abbiamo un po’ cambiato la mentalità che vigeva in quel momento. Certo che dopo 50 anni ricordarci in questo modo qua vorrà dire che una traccia l’abbiamo lasciata.
Gol al derby
Mio gol contro la Roma? Avevo un soprannome, bombardino. Avevo un tiro dalla media distanza abbastanza potente e quando arrivavo a quella distanza lì ci provavo sempre e qualche volta mi è andata bene. La cosa che ha risaltato di più, è che intanto era Roma-Lazio, poi eravamo primi in classifica a pari merito con loro. Era tanto che non vincevamo il derby, e da quella vittoria lì abbiamo fatto un salto di qualità anche a livello morale. E loro invece hanno rischiato addirittura la B. Vincere con merito, poi, gli ha dato una mazzata tra capo e collo”.