Marco Ballotta, ex portiere della Lazio, è intervenuto ai microfoni di Radio Roma Sound nel corso della trasmissione Cronache Laziali. Di seguito le sue parole: “Conservo sei anni di carriera importante: è stato il passaggio più importante della mia storia calcistica. Nella prima parte (1997-2000) sappiamo che tipo di squadra eravamo, nella seconda (2005-08) ci siamo tolti qualche soddisfazione lo stesso arrivando in Champions e a livello personale ho battuto qualche record che forse mi ripaga di tutta la carriera disputata.
Lazio attuale? C’è ancora da lavorare. I problemi che ha ce l’hanno anche tante squadre come Milan e Napoli. Poi vediamo se è un problema momentaneo o anche tecnico: io non penso ma è ancora presto per giudicare quello che sarà il futuro della Lazio.
Il pensiero su Marco Baroni
Baroni? In ogni caso darà il 110% perché è un’occasione d’oro per lui, di conseguenza vuole dimostrare di essere un allenatore di un certo tipo. È indubbio che ha sempre guidato formazioni il cui obiettivo era salvarsi. Qui devi abituarti a giocare con una mentalità diversa, ma penso che sia abbastanza intelligente da capirlo e che sia l’uomo giusto. Bisogna vedere tutto il contesto perché non mi è piaciuto l’atteggiamento a Udine, prendendo dei gol che una squadra del genere non può prendere.
Scuola italiana dei portieri
È un momento florido per la scuola italiana dei portieri. Oltre Donnarumma, che secondo me è il più forte, hai l’imbarazzo della scelta almeno per 5/6 portieri, come Provedel, Meret e Di Gregorio. Nel calcio di oggi mi sarei trovato veramente a mio agio, perché giocando molto con i piedi mi sarei trovato perfettamente.
Dualismo Provedel-Mandas
Provedel–Mandas? Non è un discorso di dualismi, che c’è in tutti i ruoli, soprattutto oggi dove è necessario averne due più o meno alla stessa altezza. Oggi le grandi squadre giocano cinquanta partite all’anno, quindi le tue partite le giochi sempre. Due portieri più o meno allo stesso livello sono necessari, e non è un caso che tante squadre ce l’abbiano. Però devi partire con un titolare, sapendo che all’occorrenza hai un secondo con cui sei in mani sicure lo stesso. Poi ci sono anche situazioni in cui i due portieri meriterebbero di giocare lo stesso, come Mandas.
Il ricordo di Sven-Goran Eriksson
Eriksson? Avevamo una stima reciproca. Quando sono arrivato alla Lazio avevo già 33 anni e dopo qualche mese gli chiesi se potessi prendere il patentino per diventare allenatore. Lui mi disse di sì: in futuro avrebbe voluto che andassi con lui a fare il secondo. Poi ho giocato fino a tardi, abbiamo fatto strade diverse e non è stato più possibile. A dire la verità mi faceva saltare qualche allenamento affinché seguissi i corsi, quindi c’era una fiducia incredibile e anche dal punto di vista umano era spettacolare, intelligente. Dall’esterno sembrava fosse un buono perché non alzava mai i toni ma si faceva rispettare alla sua maniera. In quella squadra dico di aver trovato il ruolo giusto al momento giusto nel posto giusto”.