Ci siamo, tra poche ore le elezioni presidenziali statunitensi, che vedono il confronto tra Donald Trump e Kamala Harris comunque vadano a finire, sono sul punto di diventare lo snodo cruciale della decade e non solo per il futuro degli Stati Uniti ma proprio per il contesto geopolitico globale. L’esito di queste elezioni, ça va sans dire, avrà un impatto profondo su tutta la politica planetaria, influenzando le alleanze, la sicurezza e l’economia globale in un momento così delicato, le cui vulnerabilità sono sotto gli occhi di tutti. Qualcuno ha detto Gaza?
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, per chi non se ne fosse accorto, gli Stati Uniti hanno assunto la leadership nella NATO, promuovendo la democrazia e la stabilità in Europa e nel mondo con metodi piuttosto controversi e non sempre trasparenti, anzi. Valutazioni polemiche a parte, è evidente come ogni elezione presidenziale non sia mai un semplice evento di politica interna, ma un’opportunità per ricalibrare le dinamiche di potere che interessano tutti i Paesi alleati e, di conseguenza, quelli non proprio alleati. “Nemici” è vintage, non lo si usa più.
Trump vs. Harris: un confronto ideologico e programmatico
Radio Roma Sound racconterà con Breakfast in America Il confronto tra Trump e Harris, elefante e asinello se vogliamo usare gli animali totem rispettivamente del partito Repubblicano e dei Democratici, in una diretta speciale condotta dal direttore di Adnkronos Davide Desario e dai vicedirettori Giorgio Rutelli e Fabio Insenga, in collaborazione con il Centro Studi Americani.
Una battaglia, è il caso di definirla tale, non solo per la presidenza USA ma che rappresenta lo scontro di due visioni radicalmente opposte dell’America e del suo posto nel mondo. Trump, con il suo approccio muscolare e piuttosto volgare, propone un’agenda politica incentrata sul protezionismo economico e sulla riduzione dell’impegno americano all’estero. La sua retorica, per chi non se ne fosse accorto, enfatizza la sovranità nazionale e un certo disinteresse verso le alleanze tradizionali, destando preoccupazioni in molti Paesi membri della NATO riguardo a un possibile isolamento degli Stati Uniti dalla comunità internazionale.
Dall’altra parte, Kamala Harris, dopo avere raccolto il testimone da Biden, porta avanti una piattaforma che si riallaccia ai principi dell’amministrazione Biden, privilegiando le politiche multilaterali e la cooperazione internazionale. Harris si propone di rafforzare le alleanze storiche, affrontare le sfide globali come la crisi climatica e promuovere i diritti civili, riconoscendo che l’America prospera quando lavora in collaborazione con altre nazioni.
La questione centrale in gioco è quindi se gli Stati Uniti continueranno a essere un leader globale, come sostenuto da Harris, o se abbracceranno un futuro più isolazionista sotto la guida di Trump. Questo scontro ideologico è emblematico non solo per gli elettori americani, ma ha ripercussioni dirette su tutti i Paesi che si sono storicamente alleati con gli Stati Uniti, rendendo le elezioni del 2024 un evento di rilevanza mondiale.
Le elezioni statunitensi che hanno ridefinito il corso della storia
Le elezioni presidenziali americane non si limitano a determinare chi siederà alla Casa Bianca, influenzano anche la traiettoria sociale, economica e geopolitica di quello che ci piace chiamare “Occidente libero”. Attraverso una carrellata storica delle elezioni più significative, proviamo a ricordare questi momenti che hanno modellato l’identità globale della democrazia, dell’equità e del ruolo americano nel mondo.
Nel 1860 si disputa il big match tra Abraham Lincoln e Stephen A. Douglas. Con la vittoria di Abraham Lincoln, l’elezione del 1860 accentuò il conflitto tra Nord e Sud sulla questione della schiavitù, portando all’inizio della Guerra Civile americana. Lincoln, oppositore tra le altre cose della schiavitù, rappresentava un modello economico-industriale del Nord, in contrasto con quello agricolo e piuttosto schiavista del Sud. La sua elezione, e la successiva abolizione di quella piaga sociale e culturale chiamata “schiavitù”, non solo rafforzarono il governo federale ma crearono anche un precedente per i diritti civili e umani.
Nel 1932 è la volta di Franklin D. Roosevelt contro Herbert Hoover. Nel pieno della Grande Depressione, l’elezione di Franklin D. Roosevelt segnò un radicale cambiamento nel ruolo del governo sull’iniziativa economica privata. Con il New Deal, Roosevelt inaugurò una politica di intervento attivo che prevedeva una serie di riforme sociali ed economiche volte a risollevare il Paese. Questo approccio di governo ha avuto una risonanza globale, con molti Paesi che hanno poi adottato programmi di welfare simili, specialmente nei momenti di crisi economica. La vittoria di Roosevelt cambiò per sempre il ruolo del governo nelle economie moderne e influenzò il modo in cui lo stato poteva essere attivamente coinvolto nel benessere dei cittadini.
Come non citare lo scontro John F. Kennedy e Richard Nixon che apre l’era dei dibattiti televisivi. Un punto di svolta nella comunicazione politica per il mondo intero. Per la prima volta, ben prima di Mediaset, l’aspetto e la presenza scenica dei candidati ebbero un’influenza decisiva sulla percezione degli elettori. La campagna di JFK dimostrò come i media potessero modellare l’immagine di un leader e la percezione pubblica, segnando l’inizio di un’era in cui la politica sarebbe diventata sempre più legata alla comunicazione visiva e all’apparenza.
Ma arriviamo alle battaglie della storia più recente, quelle che la maggior parte di noi ha vissuto sulla propria pelle. George W. Bush vs. Al Gore ad esempio. Il 2000 fu l’anno della controversia in Florida, che si concluse con una decisione della Corte Suprema a favore di George W. Bush, nonostante Al Gore avesse ricevuto più voti popolari. Questo episodio rivelò i limiti e le complessità del sistema dei Grandi Elettori, sollevando dubbi sulla rappresentatività del sistema elettorale americano. Inutile dire come la vicenda abbia suscitato un dibattito globale sull’equità e sull’integrità dei processi democratici, un dibattito aperto e mai domo che si ripresenta ancora oggi, a ogni elezione. Un grande what if per la storia occidentale recente, considerando il grande impegno di Al Gore per sensibilizzare su tematiche ambientaliste molto prima diventasse un tema tremendamente urgente e quotidiano.
Nel 2016 Donald Trump e Hillary Clinton combattono in piena era della “post-verità” e dei social media. La vittoria di Donald Trump nel 2016, per molti sorprendente, inaugurò una nuova era di politica “post-verità”, in cui la percezione, le emozioni e la disinformazione influenzarono l’opinione pubblica in misura senza precedenti. La sua campagna, fortemente basata sull’uso dei social media per bypassare i media tradizionali, segnò una svolta nella comunicazione politica. L’uso di fake news e della propaganda personalizzata influenzò il voto di milioni di americani e portò a una nuova epoca di populismo, ridimensionando il ruolo dei media come arbitri dell’informazione politica e segnando l’inizio di una crisi di fiducia nelle istituzioni democratiche.
“Nojo volevam savuar, per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?”
Dall’analisi storica delle elezioni americane emerge come ogni scelta presidenziale, in modi e tempi diversi, plasmi non solo la realtà statunitense ma anche quella globale, specialmente dell’Europa. Con il futuro prossimo segnato dal risultato di Harris vs. Trump, l’UE dovrà dimostrarsi pronta ad affrontare scenari che potrebbero risultare tanto promettenti quanto complessi.
Da un lato, una presidenza Harris porterebbe verosimilmente un ritorno a politiche transatlantiche di maggiore cooperazione, di cui l’Europa ha beneficiato tradizionalmente in termini di stabilità economica e politica. Grazie ad un allineamento su temi cruciali, come il cambiamento climatico, la sicurezza e la democrazia liberale, all’UE verrebbe offerta una continuità di impegno e di strategie comuni. Tuttavia, continueremmo ad appoggiarci alla stabilità americana, rischiando di non riuscire, ancora una volta, a sviluppare una vera e propria autonomia decisionale.
Dall’altro lato, un ritorno di Trump alla presidenza presenta scenari di maggiore incertezza e isolamento per l’UE, con un possibile ritiro o disimpegno parziale degli Stati Uniti da impegni internazionali, leggi Ucraina, e una visione più “feudale” degli States. Questo scenario potrebbe provocare un’Europa costretta a navigare in acque più tempestose, dove accordi internazionali, cooperazione militare e patti commerciali diventerebbero meno prevedibili. Tuttavia, anche in questo contesto più autonomo e meno vincolato, l’Unione Europea avrebbe l’opportunità di rafforzare la sua identità politica, economica e strategica. Il ritorno di Trump, forse con eccessivo ottimismo, potrebbe proprio essere la spinta a spronare un’Europa più solida e coesa, intenzionata a proteggere e a garantire i propri interessi senza appoggiarsi totalmente a Washington. Un po’ come successo durante l’emergenza COVID-19 oltre tutto.
In entrambi i casi, il futuro offre una lezione fondamentale, poiché il futuro dipenderà anche dalla volontà dell’UE di dimostrarsi forte e resiliente di fronte ai cambiamenti della politica americana. Comunque vadano queste elezioni, l’UE ha oggi l’occasione di mostrarsi più preparata e autonoma, senza smettere di essere un partner fedele ma dimostrandosi allo stesso tempo un attore forte e ambizioso sulla scena internazionale.
Alessio Briguglio